Trovata la cura per il diabete con le cellule staminali: vero o falso?

IPSNegli scorsi giorni numerosi quotidiani e organi di stampa hanno riportato la notizia di una ricerca scientifica condotta presso Harvard Department of Stem cell & Regenerative Biology (Harvard University, USA) e coordinata dal prof.  Doug Melton. La ricerca (Pagliuca FW, Millman JR, Gürtler M, Segel M, Van Dervort A, Ryu JH, Peterson QP, Greiner D, Melton DA. Generation of Functional Human Pancreatic β Cells In Vitro. Cell. 2014 Oct 9;159(2):428-39. doi: 10.1016/j.cell.2014.09.040.), pubblicata sulla prestigiosissima rivista Cell, riporta la possibilità di differenziare in vitro cellule secernenti insulina in modo regolato a partire da cellule staminali pluripotenti umane, siano esse di origine embrionale o derivate da riprogrammazione di cellule somatiche. La notizia ha suscitato molte richieste di delucidazioni per cui abbiamo deciso di dedicare un approfondimento.

Lo studio

Razionale. La generazione in vitro di cellule beta pancreatiche in grado di produrre insulina a partire da cellule staminali fornirebbe una fonte di cellule inesauribile per la scoperta di nuovi farmaci e per le terapie di trapianto nel paziente con diabete. Molte delle cellule che producono insulina, precedentemente generate da cellule staminali pluripotenti, mancano di molte delle caratteristiche funzionali delle cellule beta mature.

Obiettivo. Generare in vitro cellule beta mature producenti insulina partendo da cellule pluripotenti.

Metodi. Sono stati utilizzati aggregati di cellule (dimensioni 100-200 micron in diametro, ciascuno contenente diverse centinaia di cellule) ottenute dalla linea di cellule staminali embrionali  HUES8 o da due linee di cellule riprogrammate (hiPSC-1 e hiPSC-2). Le cellule sono prima state differenziate in endoderma definitivo (>95% SOX17) e successivamente in progenitori pancreatici precoci (>85% PDX1+). Quindi, attraverso un approccio sistematico, sono stati testati numerosi fattori (small molecules e fattori di crescita per un totale di circa 70 composti in più di 150 combinazioni) fino all’identificazione di un protocollo che in circa 4 settimane, utilizzando 11 differenti molecole (tra le quali wnt, activina, EGF, TGFβ, ormoni tiroidei, acido retinoico e inibitori delle γ-secretasi) ha permesso la differenziazione in cellule esprimenti insulina.

Risultati.  Le cellule ottenute esprimono i marcatori tipici delle cellule beta mature umane, flussano calcio in risposta al glucosio, presentano granuli secretori contenenti insulina e la secernono in quantità paragonabili alle cellule beta pancreatiche adulte in risposta a molteplici stimoli sequenziali con glucosio. Inoltre queste cellule, se trapiantate in modelli murini, secernono insulina umana in modo glucosio-regolato e sono inoltre in grado di migliorare l’iperglicemia in topi diabetici.

Conclusioni. È possibile ottenere in vitro cellule beta umane funzionanti a partire da cellule pluripotenti.


Commento

L’idea di utilizzare cellule staminali per il trattamento del diabete di tipo I è molto promettente e potrebbe avere un enorme impatto pratico. Negli ultimi dieci anni sono stati compiuti progressi reali verso questo obiettivo e forse in un altro decennio sarà possibile arrivare a un trattamento convalidato.
Il gruppo di Douglas Melton di Harvard ha appena pubblicato questo nuovo lavoro, sicuramente importante, che però la stampa generale ha, come spesso accade in questo campo, enfatizzato in maniera eccessiva, riportando che si è arrivati alla cura definitiva del diabete di tipo 1. Sono invece molti ancora i punti da risolvere.
Ci sono molti laboratori di tutto il mondo che hanno orientato la loro ricerca verso l’obiettivo di utilizzare le cellule staminali per il trattamento del diabete. Il lavoro di Harvard è notevole, ma deve essere discusso in questo contesto più ampio e dovrà essere riprodotto prima di avere una reale validità.
Qualora ne fosse confermata la riproducibilità, in termini di tempistica e di possibilità di  trasferimento nell’uomo esiste una esperienza similare che può essere presa ad esempio. Nel 2006 sulla rivista Nature Biotechnology il team guidato da Emmanuel E. Baetge di Novocell (ora ViaCyte) ha descritto come fosse possibile, utilizzando cellule staminali embrionali umane, ottenere cellule progenitrici del pancreas che possono trasformarsi in cellule β e altri tipi di cellule pancreatiche. Attualmente ViaCyte ha un IND (Investigational New Drug) approvato per il trattamento del diabete a partire da cellule staminali embrionali e un dispositivo approvato per il loro incapsulamento. La sperimentazione clinica non è ancora partita nell’uomo, anche se l’inizio è previsto nei prossimi mesi. Quindi, salvo qualche cambiamento importante nella strategia normativa da parte della FDA, e considerate le esperienze collezionate da altri gruppi con prodotti a base di cellule staminali embrionali umane, le beta cellule descritte dal gruppo di Harvard probabilmente non potranno essere testate negli esseri umani prima di 4-8 anni.
È importante quindi mantenere le aspettative realistiche. Una sfida comunque non ancora risolta per qualsiasi approccio basato sulle cellule staminali è il potenziale rigetto immunitario del paziente, dato che il diabete di tipo I ha una componente immunitaria come malattia di per sé e per il fatto che il prodotto ottenuto  sarà sostanzialmente allogenico. Sia che si parli di Harvard, di ViaCyte o di chiunque altro, è quindi prematuro per i media parlare di “cure” per il diabete; attualmente, la parola più appropriata da utilizzare è ancora “trattamento”.

Infine, non dobbiamo dimenticare che ciò che funziona nei topi spesso non funziona negli esseri umani e quindi la cautela deve essere molta. Ad esempio, lo stesso team di Harvard  aveva pubblicato l’anno scorso un lavoro sulla stessa rivista (Cell) che riportava la scoperta di un nuovo ormone, denominato Betatrofina, che ha la capacità di far riprodurre le cellule beta; questo aveva provocato una grossa ondata di entusiasmo nella comunicazione dei media, che hanno subito riportato la notizia come la cura definitiva del diabete. Purtroppo, in un primo momento l’attività della betatrofina è apparsa  limitata esclusivamente al topo e non è stata confermata nell’ uomo e il 23 ottobre di quest’anno la stessa rivista che aveva pubblicato il primo lavoro ha pubblicato il lavoro di un secondo gruppo che non è riuscito a replicare i dati originali, di fatto smentendo la scoperta precedente.
Concludendo,  la prudenza è d’obbligo nel campo della scienza.