Cellule incapsulate per la cura definitiva del diabete: un altro passo avanti

cellule incapsulateIl trapianto di cellule in grado di produrre insulina in risposta al glucosio offre la possibilità di ripristinare il controllo glicemico nei soggetti con diabete. Il trapianto di isole e di pancreas sono già realtà cliniche ma questi approcci sono limitati dagli effetti avversi legati alla necessità di una terapia immunosoppressiva e dalla disponibilità limitata di donatori. La possibilità di avere una sorgente illimitata di cellule producenti insulina è stata recentemente descritta grazie alla differenziazione di cellule staminali pluripotenti. La possibilità di effettuare un impianto in assenza di immunosoppressione necessita l’utilizzo di un processo di immunoisolamento con biomateriali porosi che fungano da barriera per il sistema immunitario.

Un passo in avanti significativo è stato pubblicato recentemente da parte del gruppo di ricerca diretto dal Prof  Doug Melton ad Harvard. Cellule producenti insulina ottenute da cellule staminali pluripotenti sono state incapsulate con derivati ​​di alginato capaci di mitigare le risposte da corpo estraneo in vivo e impiantate nello spazio intraperitoneale di topi trattati con streptozotocina, un modello animale di diabete tipo 1. Gli impianti hanno indotto la correzione della glicemia in assenza di immunosoppressione fino alla loro rimozione al giorno 174 dopo l’impianto. Gli impianti recuperati contenevano cellule produttrici di insulina vitali. La risposta in termini di rilascio di C peptide umano dopo stimolo con glucosio in vivo ha mostrato livelli compatibili con un utilizzo terapeutico.

Questo lavoro è l’ultimo di una serie di lavori da parte del gruppo di Harvard che sta con grande velocità  proseguendo nella ricerca di una possibilità di utilizzo nell’uomo di cellule producenti insulina derivate da cellule staminali pluripotenti. Nell’ottobre del 2014 il gruppo diretto dal Prof Doug Melton aveva descritto la possibilità di ottenere cellule producenti insulina da staminali embrionali (Cell. 2014 Oct 9;159(2):428-39). Nel gennaio del 2016 Arturo Vegas, un chimico del Massachusetts Institute of Technology (MIT), ha descritto tre analoghi dell’alginato (un biomateriale già utilizzato in passato, ma che aveva sempre dato grossi problemi di risposta da corpo estraneo)  in grado di ridurre notevolmente le reazioni da corpo estraneo sia nel modello dei roditori che, per almeno 6 mesi, nei primati non umani (Nat Biotechnol. 2016 Jan 25. doi: 10.1038/nbt.3462).  In quest’ultimo lavoro si arriva alla sintesi dei due approcci mostrando per la prima volta la possibilità di correggere la glicemia a lungo termine con cellule derivate da staminali incapsulate in assenza di immunosoppressione. Chi segue la ricerca sa che il diabete è stato curato nei topi molte volte senza però riuscire a ottenere lo stesso risultato nell’uomo. Il passo successivo sarà quello di testare le cellule producenti insulina incapsulate nei primati, un processo che si prevede richiederà un paio di anni. Solo allora, e solo se il materiale di incapsulamento avrà lo stesso successo, potrebbe iniziare il lungo processo di sperimentazione clinica umana. Ad ogni modo attualmente, un paio di altri metodi di incapsulamento sono già in fase di sperimentazione nell’uomo, anche se utilizzano un approccio di macro tecnologia invece che di micro tecnologia: uno è il dispositivo di ViaCyte riempito con cellule endocrine di origine staminale (in sperimentazione a San Diego), l’altro è il beta-O2 riempito con isole pancreatiche umane, ora in fase di sperimentazione su pazienti in Svezia. A breve saranno disponibili i primi dati nell’uomo di queste sperimentazioni.