Ventuno anni fa uno studio denominato Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) ha dimostrato in modo inequivocabile che un controllo adeguato della glicemia (con l’obiettivo di avere un’emoglobina glicosilata inferiore al 7%) era in grado di ridurre le complicanze microvascolari (retinopatia, nefropatia e neuropatia) del diabete di tipo 1. A breve distanza più di uno studio ha dimostrato che lo stretto controllo dei livelli di glicemia, di pressione sanguigna e dei grassi nel sangue è in grado di ridurre anche le complicanze macrovascolari (infarto, ictus e amputazione di arti) del diabete di tipo 2.
Complessivamente questi studi hanno posto l’attenzione sul diabete come un problema di salute pubblica, sottolineando che la storia della malattia potesse essere modificata da una combinazione di cambiamenti nella cura clinica (ad esempio, intensiva gestione dei fattori di rischio), nel sistema sanitario (ad esempio, l’organizzazione delle cure), nella promozione della salute (ad esempio, il supporto per i pazienti a modificare lo stile di vita), e nella società (ad esempio, le politiche per il controllo del fumo).
Questi studi sono stati quindi seguìti da un miglioramento generale nella cura del diabete attraverso la promozione di comportamenti di auto-gestione della malattia, il maggior controllo dei fattori di rischio e la diffusione di nuovi efficaci approcci farmacologici e procedure terapeutiche.
La domanda che dunque ci si pone è se, come conseguenza di tutto questo, si è effettivamente ottenuta una riduzione delle complicanze associate al diabete, e si è quindi stati in grado di cambiare la storia “naturale” della malattia.
La risposta viene dagli Stati Uniti, e più precisamente dal Centers for Disease Control and Prevention, che ha studiato l’incidenza di quattro complicanze “sentinella” associate al diabete (amputazione degli arti inferiori, infarto miocardico acuto, ictus, malattia renale allo stadio terminale) e della mortalità per crisi iperglicemica (vale a dire, chetoacidosi diabetica) negli anni tra il 1990 e il 2010.
Lo studio è stato pubblicato in questi giorni dalla più prestigiosa rivista medica del mondo, il New England Journal of Medicine.
L’incidenza di tutte e cinque le complicanze è diminuita tra il 1990 e il 2010, con il calo maggiore per l’infarto miocardico acuto (-67,8 %) e la morte per crisi iperglicemica (-64,4%), seguìte da ictus e amputazioni (-52,7 % e -51,4 %, rispettivamente). Il calo minore è stato per la malattia renale allo stadio terminale (-28,3 %).
Questi dati confermano che il controllo delle complicanze è possibile grazie a un miglior sistema di cure e di approccio alla malattia e sono quindi un’ottima notizia che conferma che a livello individuale il beneficio di un migliore controllo della malattia è sinonimo di una migliore prospettiva per il futuro.
Da un punto di vista dei costi per la salute pubblica purtroppo non arrivano però buone notizie. Infatti, nello stesso periodo pur diminuendo l’incidenza delle complicanze si è assistito a un aumento delle persone con diabete per cui il numero assoluto di complicanze è rimasto stabile, salvo una piccola riduzione dei casi di morte da coma iperglicemico.