Milano, 20 marzo 2020. Negli ultimi giorni sulla stampa non scientifica è rimbalzata la notizia dell’esistenza di due tipi diversi di diabete di tipo 1, creando domande nella comunità dei pazienti su quale fosse la conseguenza di questa scoperta in termini pratici per la gestione della malattia, oltre alla legittima curiosità di comprendere eventualmente a quale “tipo” si appartiene.
La notizia nasce dalla pubblicazione di un articolo sul giornale “Diabetologia” da parte dei ricercatori inglesi dell’Università di Exeter, dove sono oggi conservati i campioni di pancreas di soggetti diabetici raccolti dal professor Alan Foulis. Durante la sua carriera come patologo in Scozia, il professor Alan Foulis ha collezionato la più grande raccolta al mondo di campioni di pancreas autoptici recuperati da pazienti deceduti poco dopo aver ricevuto una diagnosi di diabete di tipo 1. Questa raccolta è stata assemblata per la prima volta nei primi anni ’80 da centri in tutto il Regno Unito e comprende circa 200 casi in totale, di cui oltre 100 di giovani (<20 anni) con diabete di tipo 1 a insorgenza recente. I campioni sono stati originariamente tenuti a Glasgow ma, al momento del suo ritiro nel 2015, il professor Foulis li ha trasferiti alla University of Exeter Medical School, dove ora sono conservati. Questi campioni costituiscono una rara fonte di tessuto pancreatico che oggi, per fortuna, non sarebbe più possibile raccogliere poichè i casi di decesso all’esordio sono diventati estremamente rari.
E’ necessario fare una precisazione semantica prima di procedere nella comprensione dello studio, cioè la esplicazione del concetto di “endotipo”. Si definisce endotipo un sottotipo di una condizione, che è definito da un meccanismo funzionale o patobiologico distinto. Rimanendo nel caso del diabete di tipo 1 oggi sappiamo che la malattia si sviluppa a causa della attivazione del sistema immunitario, che riconosce le cellule producenti l’insulina e le distrugge. Questo definisce il diabete come “tipo 1”. Il tipo di cellule coinvolte o i mediatori del sistema immune che portano alla distruzione delle cellule beta potrebbero però non essere identici in tutti i casi e l’identificazione di meccanismi differenti può portare alla definizione di sottotipi definiti per l’appunto come “endotipi”. Questo è lo sforzo che il gruppo di Exeter sta conducendo studiando le sezioni di pancreas raccolte nel tempo dal Prof Foulis.
Il precedenza il gruppo di Exeter aveva già suggerito che il meccanismo immunologico alla base del diabete di tipo 1 possa essere differenziato in funzione dell’età, mostrando nel pancreas di soggetti con esordio inferiore ai 7 anni la presenza di un più alto numero di cellule del sistema immunitario denominate linfociti B (CD 20+) e un minor numero di isole pancreatiche contenenti insulina rispetto ai soggetti con un’esordio dopo i 13 anni. In questo secondo lavoro recentemente pubblicato si è potuto evidenziare che sempre nel gruppo di soggetti con esordio prima dei 7 anni si evidenzia una difficoltà del processo della sintesi dell’ insulina che, detto in modo semplificato, risulta rilasciata in una forma più immatura. L’insulina infatti va incontro ad un processo di maturazione prima di essere rilasciato dalle cellule beta, maturazione che prevede che il suo precursore denominato “proinsulina” venga letteralmente tagliato in due punti per permetterne il rilascio. Questo processo risulta alterato nei soggetti con esordio precoce e si concretizza con la presenza in circolo di una maggiore quantità di proinsulina.
Come impatta questa scoperta sulla pratica clinica? “Al momento questo studio non modifica in nessun modo la pratica clinica e la terapia nei soggetti con diabete di tipo 1 – risponde Lorenzo Piemonti, direttore del San Raffaele Diabetes Research Institute di Milano – ma viceversa è di grande interesse per chi come noi sta lavorando alla ricerca di terapie innovative per la prevenzione della malattia. Sapere che ci sono meccanismi diversi alla base della distruzione delle cellule beta ci permetterà di disegnare i nuovi studi clinici differenziati sulla base dei differenti meccanismi. Questo potrebbe permettere di avere in futuro trattamenti più efficaci per la prevenzione del diabete di tipo 1”.