Milano 8 dicembre 2020. Numerose analisi retrospettive hanno suggerito che il diabete costituisca un fattore di rischio importante di mortalità in caso d’infezione da SARS-CoV-2. Questi studi hanno avuto alcuni limiti tra cui quello di non distinguere tra le diverse forme di diabete (tipo 1 vs tipo 2) ed essere limitati ai pazienti che hanno avuto necessità di ospedalizzazione. Un nuovo studio prospettico condotto dalla Vanderbilt University School of Medicine (Nashville, USA) ha parzialmente superato questi limiti suggerendo che i soggetti con diabete di tipo 1 hanno un rischio da tre a quattro volte superiore di ospedalizzazione e di sviluppare forme gravi rispetto ai soggetti non diabetici in caso d’infezione da SARS-CoV-2, un rischio cioè sovrapponibile a quello dei soggetti con diabete di tipo 2. Questi risultati confermano i dati recentemente riportati dal National Health Service inglese di cui abbiamo parlato in precedenza. Rilevante è il dato che la probabilità di ospedalizzazione nei soggetti inferiori ai 40 anni varia tra il 15 e il 22% rispetto al 5% circa nei soggetti senza diabete.
L’identificazione oramai unanime del diabete sia di tipo 1 sia di tipo 2 come comorbidità associate a un rischio importante per gravità e mortalità in caso di COVID19, pone l’accento sulla necessità nel prossimo futuro di ponderare quale peso debba avere il diabete nella selezione delle popolazioni da vaccinare in modo prioritario. Come recentemente pubblicato dell’European Centre for Disease Prevention and Control, seppur con alcune sfumature, tutti i paesi europei prevedono tra i criteri che identificano i gruppi con priorità l’essere un operatore sanitario, l’età e la presenza di comorbidità, anche se non c’è ancora una lista definita delle comorbidità rilevanti. Negli Stati Uniti l’indicazione stese dalla National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine, suggeriscono un’allocazione a quattro fasi, includendo nella prima fase operatori della sanità e primi soccorritori (per esempio Vigili del fuoco), soggetti con comorbidità significative (definite in termini di numero cioè due o più comorbidità) e anziani in strutture residenziali. Il piano strategico dell’Italia per la vaccinazione antiSARS-Cov-2 presentato e approvato dal parlamento il 2 dicembre prevede una prima fase dove, essendoci una fornitura limitata di vaccini, si provvederà la copertura degli operatori sanitari e sociosanitari, gli ospiti delle lungodegenze e le persone con età superiore agli ottanta anni. Le comorbidità sono previste come criterio per le fasi successive prevedendo nella fase due persone con comorbidità severa, immunodeficienze e/o fragilità di ogni età e nella fase tre persone con comorbidità moderata di ogni età. Non viene però al momento specificata una lista delle comorbidità severe e di quelle moderate, che presumibilmente sarà compilata nelle prossime settimane. Chi ha già provveduto alla definizione più precisa della priorità è UK avendo iniziato oggi ufficialmente la campagna vaccinale: i primi a essere vaccinati sono le persone che vivono in una casa di cura per anziani, gli operatori sanitari in prima linea, gli assistenti sociali in prima linea, le badanti che lavorano in una casa di cura per residenti anziani. In seguito il vaccino sarà offerto in base all’età: quelli di età superiore agli ottanta anni, quelli di età superiore ai settantacinque anni, quelli di età superiore ai settanta anni e i soggetti che indipendentemente dall’età sono definiti clinicamente estremamente vulnerabili, quelli di età superiore ai sessantacinque anni, adulti sotto i sessantacinque anni con malattie a lungo termine (inclusi i soggetti con diabete). Al momento è in corso una discussione se questi due ultimi gruppi debbano essere invertiti.
“La questione è ovviamente molto delicata, ma credo che gli organi competenti abbiano tutte le informazioni necessarie per agire nel modo più adeguato per raggiungere la massima prevenzione della mortalità da COVID-19 e la protezione del personale e dei sistemi sanitari e sociali – dichiara Lorenzo Piemonti direttore del Diabetes Research Institute di Milano – e in attesa di una definizione più precisa non possiamo che appoggiare l’azione di sensibilizzazione proposta dal presidente della Società Italiana di Diabetologia Francesco Purrello durante il recente Congresso della Società. Non dimentichiamo però che ci sono due cose che sono nelle nostre mani altrettanto importanti. La prima è che la gravità della malattia nel paziente diabetico è legata anche a livello di controllo della malattia: a una malattia scompensata si associa una prognosi peggiore e quindi dobbiamo fare il massimo per avere il miglior controllo possibile. La seconda è che una strategia vaccinale può avere successo solo se le persone si vaccinano. Indipendentemente da quando si sarà chiamati, l’appello per tutti medici, pazienti e non è di accettare l’invito a vaccinarsi poiché è senza dubbio lo strumento migliore che abbiamo per uscire dall’attuale crisi”.