Il trapianto di isole necessita, come tutti i trapianti, di un trattamento con farmaci immunosoppressori per evitare il rigetto. Per questo motivo è ora consigliato esclusivamente a soggetti con un diabete molto particolare, definito “brittle diabetes”, cioè un diabete che mette a serio rischio la qualità e la quantità di vita nonostante le migliori terapie disponibili con l’insulina.
Uno degli obiettivi della ricerca nel campo del trapianto di isole è trovare modi per eseguire il trapianto senza dover fare la terapia immunosoppressiva o comunque riducendola al minimo, potendo quindi estendere il trapianto a un numero molto più ampio di soggetti. Il risultato desiderato è quello di sviluppare una terapia cellulare che sia in grado di indurre tolleranza e quindi eliminare completamente la terapia immunosoppressiva. Il raggiungimento di quest’obiettivo dipende dalla disponibilità di un trattamento immunosoppressivo compatibile con la sopravvivenza, la funzione e l’espansione di un tipo di cellule dette cellule T regolatorie.
Intorno a questo si è sviluppato un recente studio concluso presso il San Raffaele Diabetes Research Institute di Milano in collaborazione con l’Università di Ginevra (Maffi P, Berney T, Nano R, Niclauss N, Bosco D, Melzi R, Mercalli A, Magistretti P, De Cobelli F, Battaglia M, Scavini M, Demuylder-Mischler S, Secchi A, Piemonti L. Calcineurin Inhibitor-Free Immunosuppressive Regimen in Type 1 Diabetes Patients Receiving Islet Transplantation: Single-Group Phase 1/2 Trial. Transplantation. 2014 Oct 3) e pubblicato sulla rivista internazionale Transplantation, l’organo ufficiale della Transplantation Society.
Nello studio dieci pazienti trapiantati d’isole sono stati sottoposti a un innovativo schema di terapia che escludeva una classe di farmaci detti inibitori della calcineurina (ciclosporina e FK506) e che prevedeva un’immunosoppressione più modesta al momento della seconda infusione d’isole. Questo protocollo è risultato fattibile, sicuro e ha garantito l’insulino indipendenza nel 40% dei soggetti a tre anni dal trapianto, ma meno efficace nel mantenere la funzione parziale del trapianto durante il tempo rispetto ad altri protocolli più aggressivi d’immunosoppressione. Ad ogni modo i risultati incoraggianti ottenuti saranno la base per futuri approcci per ottenere la tolleranza immunologica.