Milano 02/11/2020. Pubblicati dalla rivista JCEM della Endocrine Society i risultati dello studio clinico MONORAPA che ha valutato la possibilità di ripristinare la funzione delle cellule beta nei pazienti con diabete di tipo 1 di lunga durata.
Quando si è scoperto il ruolo del sistema immunitario nello sviluppo del diabete di tipo 1 si era convinti che la distruzione delle cellule che producono l’insulina (le cellule beta) fosse inevitabile, progressiva e soprattutto totale. Tuttavia, quando sono diventati disponibili i test ultrasensibili per misurare un marker funzionale delle cellule beta, il peptide C, diversi studi hanno rilevato che, sebbene limitata, la secrezione di insulina endogena persiste in un’alta percentuale di pazienti con diabete di tipo 1, dimostrando che non tutte le cellule beta vanno perse anche dopo anni dall’ esordio della malattia clinica. Questo risultato è coerente con i dati che mostrano che cellule positive per l’insulina si trovano spesso in campioni istologici di pancreas di pazienti con diabete di tipo 1 di lunga durata.
La produzione di insulina residua ha un impatto positivo sulla variabilità dei livelli di glucosio, sul controllo metabolico generale e sullo sviluppo di complicanze croniche. Per questi motivi, anche un leggero aumento della produzione di insulina può essere di non trascurabile importanza per la gestione dei soggetti con diabete di tipo 1. Una domanda di grosso interesse è quindi se sia possibile riattivare e/o amplificare questa secrezione residua nei soggetti con lunga storia di diabete, visto che almeno un piccola parte di cellule secernenti è ancora presente.
Per rispondere a questa domanda si è progettato lo studio MONORAPA in cui si è proceduto a trattare soggetti con lunga storia di malattia con due farmaci: il primo rapamicina in grado di tenere sotto controllo la risposta autoimmune e l’altro vildagliptin, appartenente alla classe degli inibitori della di-peptidil-peptidasi IV (DPP-4) che in modelli in vitro ed in vivo si è dimostrata in grado di migliorare la proliferazione/differenziazione delle cellule beta e prevenire la loro morte
Lo studio è stato disegnato per fornire il massimo livello di evidenza scientifica (randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo) ed è stato condotto in 55 soggetti affetti da diabete di tipo 1 con almeno 5 anni di malattia divisi in tre gruppi di trattamento: il primo ha ricevuto un doppio placebo (gruppo 1), il secondo rapamicina per 4 settimane (gruppo 2), il terzo 4 settimane di rapamicina più 12 settimane vildagliptin (gruppo 3).
A quattro settimane dal trattamento il fabbisogno di insulina è diminuito in modo significativo nei soggetti trattati con rapamicina (da 0.54 a 0.48 U/kg/die) e rapamicina più vildagliptin (da 0.59 a 0.51 U/kg/die) mentre non è cambiato nel gruppo placebo. In modo coerente l’emoglobina glicata è diminuita significativamente sia nel gruppo trattato con rapamicina da (7.3% al 7%) che in quello trattato con rapamicina e vildagliptin (da 7.2% al 6.9%). Il beneficio metabolico è risultato associato a una diminuzione del titolo degli anticorpi contro l’insulina e a cambiamenti nel profilo ormonale/immunologico. Purtroppo nessun paziente in alcun gruppo ha mostrato una risposta positiva in termini di secrezione del peptide C.
“Presi nel loro complesso i dati mostrano la capacità dei farmaci utilizzati di migliorare la situazione metabolica dei soggetti trattati, ma non ha ripristinato la funzione delle cellule beta – spiega Lorenzo Piemonti direttore del Diabetes Research Institute di Milano e PI dello studio – e il prossimo passo potrebbero essere quello di aumentare la lunghezza del trattamento o associare alla rapamicina farmaci che hanno recentemente dimostrato di aumentare la proliferazione delle cellule beta umane, come la combinazione di un inibitore DYRK1A con un agonista del GLP-1”
“Un dato sicuramente interessante è anche quello che riguarda l’azione di vildagliptin – continua Emanuele Bosi, primario dell’unità operativa di medicina generale a indirizzo diabetologico ed endocrino-metabolico dell’Ospedale San Raffaele – che ha migliorato in modo significativo l’effetto mimetico dell’insulina della rapamicina, ha indotto alcune modifiche ormonali e immunologiche specifiche e si è dimostrato sicuro nei soggetti con diabete di tipo 1 di lunga durata. Sarà interessante nel prossimo futuro approfondire la sua possibilità di utilizzo come terapia aggiuntiva all’insulina nel soggetto con diabete di tipo 1”
“Ci tengo a sottolineare due elementi estremamente importanti – conclude Piemonti – che riguardano la realizzazione di questo studio. Il primo è il contributo straordinario che hanno dato i pazienti alla sua realizzazione rispondendo con entusiasmo al momento del reclutamento e mantenendo con costanza la partecipazione durante lo svolgimento, nonostante l’impegno non fosse poco. Il secondo lo studio che ha richiesto 5 anni dalla sua progettazione alla sua pubblicazione è uno studio spontaneo, cioè totalmente frutto della progettazione del DRI e totalmente supportato dal DRI nella sua realizzazione. Seppur non facile, è nostra intenzione mantenere attive linee di ricerca clinica indipendenti per valutare gli aspetti che riteniamo strategici nell’ambito della ricerca diabetologica”.
Il Diabetes Research Institute dell’Ospedale San Raffaele di Milano coglie l’occasione per ringraziare tutti coloro che danno fiducia alla nostra ricerca sostenendola con iniziative di supporto e donazioni.
Nello specifico dello studio in oggetto si ringrazia il Ministero della Salute (Bando Ricerca Finalizzata years 2011- 2012, RF-2011- 02346959) e Fondazione Italiana Diabete.