Era il 2010 quando sulla prestigiosissima rivista Nature Genetics veniva pubblicato un complesso studio denominato “meta-analisi”, che analizzava a sua volta contemporaneamente 21 studi precedenti nei quali si era cercato di associare le modificazioni dei geni con i livelli di zucchero e di insulina nel sangue a digiuno. Alla fine sono stati elaborati i dati di più di 76.000 soggetti che hanno permesso di identificare 16 punti del DNA, denominati “loci”, associati ai valori degli zuccheri nel sangue. Uno di questi punti era un gene denominato ADCY5.
In particolare, la modificazione di un singolo punto di questo gene (Single Nucleotide Polymorphisms, SNPs) era associata a un incremento dei valori degli zuccheri nel sangue a digiuno e a un incremento del rischio di sviluppare il diabete di tipo 2.
Partendo da questo studio, un’équipe di ricercatori internazionali dell’Università di Cambridge, dell’Università Pisa, dell’Università di Ginevra, del San Raffaele Diabetes Research Institute, dell’Università di Oxford e dell’Università dell’Alberta, coordinati dall’Imperial College London, ha cercato di comprendere il meccanismo che legava la funzione del gene in questione al diabete. I risultati sono stati pubblicati su Diabetes, la più importante rivista di settore nel campo del diabete, nel mese di aprile (Hodson DJ, Mitchell RK, Marselli L, Pullen TJ, Brias SG, Semplici F, Everett KL, Cooper DM, Bugliani M, Marchetti P, Lavallard V, Bosco D, Piemonti L, Johnson PR, Hughes SJ, Li D, Li WH, Shapiro AM, Rutter GA. ADCY5 couples glucose to insulin secretion in human islets. Diabetes. 2014 Apr 16).
Riassumendo i risultati, si è dimostrato che:
- chi è portatore della modificazione del gene ha un livello di espressione dello stesso più basso;
- la proteina codificata da questo gene e denominata “Adenylate cyclase 5” è importante per accoppiare lo stimolo prodotto dalla presenza dello zucchero con il rilascio dell’insulina e per coordinare la funzione delle cellule che producono l’insulina all’interno delle isole pancreatiche umane.
L’utilità pratica di questo studio è che ora è possibile disegnare nuovi farmaci in grado di modulare questo meccanismo per la cura del diabete di tipo 2.