Trapianto dei batteri intestinali fa bene all’esordio del diabete di tipo 1: prima volta nell’uomo

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Milano 26/10/2020. Il trapianto dei batteri intestinali preserva la funzione delle cellule che producono insulina nei soggetti con diabete di tipo 1 di nuova insorgenza. Pubblicato il primo studio nell’uomo condotto presso l’University Medical Centres di Amsterdam, a cui ha collaborato il Diabetes Research Institute di Milano

ll microbiota intestinale umano adulto è l’insieme dei microrganismi contenuti nell’intestino umano (da dieci a centomila miliardi di microrganismi). La natura del microbiota varia in funzione di una grande quantità di fattori: genetica, età, luogo di nascita, dieta, malattie, terapie antibiotiche e uso di probiotici e prebiotici. La disbiosi intestinale è definita come lo stato di squilibrio dell’ecosistema microbico intestinale, inclusa la crescita eccessiva di alcuni organismi e la perdita di altri. La disbiosi è stato implicata in una serie di importanti malattie croniche incluso il diabete di tipo 1. Queste osservazioni sollevano la questione se misure volte a ristabilire l’equilibrio del microbiota e correggere la disbiosi possano essere applicato per la prevenzione e/o trattamento del diabete di tipo 1.

Questa è la domanda che si è posto lo studio pubblicato oggi dalla prestigiosa rivista Gut condotto su 20 soggetti che hanno ricevuto un trapianto di microbiota fecale all’esordio della malattia. Lo studio è stato condotto presso l’Amsterdam University Medical Centres in Olanda per quanto riguarda i suoi aspetti clinici e in collaborazione con il San Raffaele Diabetes Research Institute di Milano per gli aspetti biologici. Il risultato clinico suggerisce che il trapianto fecale di microbioma nell’intestino di soggetti con diabete di tipo 1 all’esordio sia in grado di prolungare efficacemente la funzione delle cellule beta residue. Al di là del risultato clinico lo studio ha prodotto importanti informazioni per il futuro nel campo. Infatti i soggetti trattati sono stati studiati con metodiche avanzate di metabolomica, di immunologia e, soprattutto, si sono potute effettuare biopsie della mucosa duodenale con la possibilità di valutare direttamente nell’intestino le modifiche associate al trattamento. L’enorme quantità di dati è stata poi elaborata con tecniche di machine learning basate sull’intelligenza artificiale. “Per esempio si sono identificati alcuni ceppi batterici nuovi (Desulfovibrio piger, Bacteroides stercoris, ndr) e confermati altri già sospetti (Prevotella e S oralis, ndr) che potrebbero avere un potenziale terapeutico – spiega Silvia Pellegrini ricercatrice del DRI e coautrice del lavoro – e la cui modifica potrebbe comportare un beneficio nella terapia e/o nella prevenzione della malattia. Inoltre si sono evidenziate modifiche dei fosfolipidi plasmatici e dei derivati del triptofano a dimostrazione della capacità che la modifica dei batteri del nostro intestino hanno di impattare più in generale sul nostro metabolismo”. “Uno dei dati più interessanti è derivato dallo studio delle biopsie intestinali – continua Valeria Sordi, project leader del DRI e anche essa coautrice del lavoro- studio che è stato condotto grazie alla esperienza sviluppata nel nostro istituto. Nello specifico tra i molti risultati si è potuto evidenziare l’associazione della risposta clinica con l’espressione di un modulatore della risposta immunitaria denominato CCL22 e un sottoinsieme di cellule immunitarie della famiglia dei linfociti (CXCR3+CD4+T), dato che conferma il dialogo tra intestino e sistema immunitario”

“Questo studio, utilizzando il trapianto di feci, aiuta a quantificare l’entità degli effetti del microbiota intestinale negli esseri umani con diabete di tipo 1 di nuova insorgenza – conclude Lorenzo Piemonti coautore e direttore del DRI – sottolineando il ruolo dello stesso nella distruzione delle cellule beta. Costituirà una prima esperienza pilota per ulteriore studi e si inserisce in una serie di ricerche che si sono condotte e si stanno conducendo presso il nostro Istituto per comprendere la relazione tra diabete ed intestino (Sorini et al 2019; De Giorgi et al 2019; Pellegrini S 2017). C’è un unico rammarico: lo studio prevedeva il reclutamento di 34 soggetti ma è stato terminato a 20 soggetti per mancanza di fondi, sottolineando la generale difficoltà in tutto il mondo a sostenere la ricerca di terapie innovative per il diabete di tipo 1”.

Il Diabetes Research Institute dell’Ospedale San Raffaele di Milano coglie l’occasione per ringraziare tutti coloro che danno  fiducia alla nostra ricerca sostenendola con iniziative di supporto e donazioni.

Faecal microbiota transplantation halts progression of human new-onset type 1 diabetes in a randomised controlled trial Pieter de Groot, Tanja Nicolic, Silvia Pellegrini, Valeria Sordi, Sultan Imangaliyev, Elena Rampanelli, Nordin Hanssen, Ilias Attaye, Guido Bakker, Gaby Duinkerken, Annemarie Joosten, Andrei Prodan, Evgeni Levin, Han Levels, Bartjan Potter van Loon, Arianne van Bon, Catherina Brouwer, Sytze van Dam, Suat Simsek, Daniel van Raalte, Frank Stam, Victor Gerdes, Roel Hoogma, Martin Diekman, Martin Gerding, Cees Rustemeijer, Bernadette de Bakker, Joost Hoekstra, Aeilko Zwinderman, Jacques Bergman, Frits Holleman, Lorenzo Piemonti, Willem De Vos, Bart Roep, Max Nieuwdorp doi: 10.1136/gutjnl-2020-322630